Le abitudini alimentari diverse dalle nostre...

Prodotti base dell’alimentazione: aree di diffusione

I cereali hanno sempre rappresentato gli alimenti base delle popolazioni fin dal Neolitico, da quando cioè l’uomo cominciò ad affiancare alle attività della caccia e della raccolta quella dell’agricoltura. Ad ogni latitudine si svilupparono varie specie di cereali: nell’America tropicale il mais, nell’Asia il riso, in Medio Oriente e in Europa il grano, l’orzo, la segale e il farro, in Africa il miglio e il sorgo. Grazie alla loro facilità di trasporto e conservazione, e alla loro commestibilità, i cereali diventarono ben presto prodotti facilmente commerciabili. Il clima temperato è l’habitat ideale per il frumento: Europa, Asia, Russia, Cina, Usa, India e Canada sono infatti i maggiori produttori di grano (il che non esclude che alcuni di essi debbano ricorrere all’importazione per venire incontro alle necessità alimentari della loro popolazione).

Anche in Europa il cereale di base è il grano, però ha un rendimento limitato, infatti può essere coltivato solo in regime di rotazione perché esaurisce il terreno. Questo obbliga a introdurre accanto al grano anche altre colture come legumi e foraggio, che servono sia all’uomo sia al bestiame. Quindi la dieta dei popoli consumatori di grano è stata sempre varia e l’agricoltura, combinata all’allevamento degli animali, si è estesa generalmente a tutto il territorio interessato allo stesso clima, eliminando praticamente le aree forestali.

Nel clima monsonico prospera invece il riso che è la coltura dominante in Cina, Giappone, Filippine, Indocina, Indonesia, Bangladesh, Nepal e India e che è destinato esclusivamente al consumo interno e non all’esportazione. Il riso, al contrario del grano può essere coltivato anche per due raccolti consecutivi nello stesso terreno e ciò permette di sfamare popolazioni più numerose. Le piante tendono a occupare tutto lo spazio disponibile.

La dieta dei popoli delle zone a clima monsonico è molto uniforme (riso e cereali ne costituiscono quasi il 90%).

Nelle zone aride infine (come l’Africa sub-sahariana) vengono coltivati cereali a basso contenuto nutritivo come il sorgo o il miglio. Essi richiedono meno cure e tollerano temperature più elevate.

 

Differenze nell’alimentazione tra Nord e Sud

Mentre nei Paesi più ricchi i cereali incidono nell’alimentazione per il 30% e la dieta è ricca di alimenti di origine animale (carne, latte, uova), in quella dei Paesi in via di sviluppo essi sono fondamentali.

Ma c’è un altro dato più importante che rimanda non solo a fattori ambientali ma soprattutto socio-economici e storici: nella dieta dei Paesi industrializzati il consumo dei prodotti di origine animale (carne, latte, uova) è di gran lunga più rilevante rispetto a quello diretto ai cereali (es. pane, pasta, ecc.)

 

Il consumo di cereali nel mondo (FAO 2004)
Il consumo di cereali nel mondo (FAO 2004)

Come vengono consumati i prodotti di base

Fin dall’antichità i prodotti dell’agricoltura sono stati trasformati e non consumati come si presentatno in natura: si pensi all’olio, al vino, alla birra.

Per quanto riguarda i cereali, il trattamento è simile in tutto il mondo: si puliscono i chicchi, si frantumano, si macinano e si mescolano con l’acqua, se ne fanno schiacciatine, focacce da cuocere in recipienti o su pietre o lastre roventi e si hanno gallette più o meno friabili. Alcuni cereali possono lievitare e si hanno allora forme spugnose che vengono cotte in forno. La segale è l’unico cereale, dopo il grano, adatto a fare il pane, ma è meno digeribile e rende meno.

I consumi alimentari della società odierna hanno subito profondi cambiamenti in seguito alle trasformazioni industriali sempre più sofisticate dei prodotti agricoli; pensiamo ad esempio all’inscatolamento, alla refrigerazione, ecc.

I cereali nei Paesi più ricchi vengono consumati sotto forma non solo di pane e pasta, ma anche di biscotti, crackers, corn flakes, ecc, mentre nei Paesi in via di sviluppo essi non subiscono importanti trasformazioni e manipolazioni. Inoltre mente nei Paesi più ricchi sono sempre base e supporto di altri alimenti, in quelli in via di sviluppo sono spesso l’unica forma di cibo senza alcun condimento.

Ad esempio il miglio, che noi utilizziamo per l’alimentazione degli uccelli, è piatto per eccellenza dei popoli dell’Asia e dell’Africa Centrale e Occidentale, e di parte dell’Europa Orientale, perché ha poche esigenze colturali. Nel Sudan la pappa di miglio e manioca è cibo quotidiano, nella Cina del Nord esso rappresenta quello che nelle province del Sud è il riso. E così per il riso che, cotto normalmente in acqua bollente – poca o tanta secondo le varianti cinesi o indiane – è il cibo principale per tanti popoli. Da noi invece è un primo piatto oppure un componente in ricette ricche di altri ingredienti: insalata di riso, budino di riso, arancini di riso, sartù napoletano.

Una carrellata di brani su alcune abitudini alimentari "diverse"...

I seguenti brani vogliono offrire alcuni esempi per facilitare la scoperta della relatività del gusto e delle abitudini alimentari nelle diverse culture e per renderci consapevoli di come tendiamo a misurare e a valutare gli usi e costumi degli altri con i nostri paramentri, come se questi fossero assoluti e naturali. E’ invece importante riuscire a prendere le distanze dalle proprie rigidità e a rapportarsi alla pari con le altre culture. I brani proposti vogliono facilitare questo percorso critico e autocritico.

Le bambine giocano generalmente con le bambole o cucinano insieme, anche se nessuno oserà mangiare gli orribili intrugli che hanno preparato.

I maschi invece prima di tutto cominciano a cacciare. Si va in gruppo con gli amici. Ricordo che avevamo piccoli archi e frecce costruiti da noi. Si prendevano grossi topi, istrici, cavallette. La caccia alle cavallette è quella più facile per i bambini, perché si spostano sempre in zone piuttosto basse, piccoli arbusti, foglie. E' un tipo di caccia che si fa in genere a mezzogiorno, quando è molto caldo e le cavallette stanno immobili. Poi, dopo averne catturate cinquanta, cento, si portano a casa e si mangiano. Si preparano così: prima si passano velocemente a fuoco vivo in modo che non brucino. Poi, per due minuti, si mettono sulla brace muovendole sempre in modo che non brucino. Quando sono pronte si stacca la testa, così rimane solo la parte buona. Sono squisite come le patatine fritte.

Le cavallette prese durante la "piccola caccia" le mangiavamo solo tra noi bambini. Quando invece c'è un'invasione di cavallette che minaccia di distruggere le colture, allora è tutto il villaggio che partecipa alla battuta di caccia. Al ritorno è la nonna che di solito le prepara in padella con un po' di sale o olio. 

 

(La nostra Africa. L'avventura di crescere nel continente nero, AA.VV., a cura del Cidis, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1989)

Lo scienziato britannico Norman Meyers ha, a sua volta, consumato insetti. Ci riferisce qui le sensazioni provate alla sua prima esperienza.

"A Bogotà, su un marciapiede di periferia, un ambulante vendeva formiche alla griglia. Una fila interminabile di accalcava in attesa di essere servita. "Vieni, assaggiane una cucchiaiata" mi propose il mio ospite colombiano.

Dapprima rifiutai nella maniera più diplomatica possibile. Ma davanti all'ironia dei passanti e al timore di "perdere la faccia", finii per accettare. Presi il cucchiaio meno pieno, chiusi gli occhi, mi irrigidii e con un nodo allo stomaco, mi sforzai di immaginare che stavo gustando un buon gelato. E portai la porzione alla bocca: le formiche erano croccanti e il loro sapore molto forte mi fece pensare ad una salsiccia col pepe.

Infine deglutii e, in fede, non si può dire che sia stato propriamente un trauma".

L'esperienza di questo ricercatore richiama un po' le tendenze dei nostri antenati giudaico-cristiani. Nell'Antico Testamento, Mosè raccomanda agli ebrei "Mangiate cicale, grilli e locuste". Anche il Nuovo Testamento racconta che San Giovanni Battista è vissuto nel deserto nutrendosi unicamente di locuste e miele selvatico.

Le antiche civiltà che tanto ammiriamo elaboravano molte ricette a base di insetti. I Romani erano ghiotti di cicale e i Greci erano esperti nella preparazione di larve di farfalla, secondo quanto testimoniano gli scritti di Aristotele, Plinio, Erodoto.

Fino a tempi abbastanza recenti, diversi insetti facevano ancora parte di alcuni menù: i coleotteri in Lombardia o in Russia, le cosce di locuste sulle rive della Loira.

Al momento attuale l'impianto di un allevamento industriale di insetti sembra, nei Paesi occidentali, impossibile. Significherebbe infatti un mutamento radicale delle nostre abitudini e la revisione critica dei nostri pregiudizi culinari. Da un punto di vista puramente scientifico, però, è strano che gli uomini delle nazioni cosiddette "civili" siano riluttanti a ingerire questo genere di alimenti. I gastronomi considerano i crostacei come un piatto particolarmente delicato e provano invece profonda ripugnanza nei confronti delle cavallette. Tuttavia, nella classificazione zoologica questi due gruppi sono parenti stretti perché appartengono allo stesso tipo di invertebrati: gli artropodi.

 

La locusta è più nutriente del pollo? Contenuti proteici a confronto.

 

Locusta 50-70%

Ragno 63%

Larva di mosca 63%

Termite 46%

Formica 24%

Pollo 23%

Pesce 21%

Bue 20%

Suino 17%

Pecora 17%


(Insetti che bontà!, Bruno Comby, Piemme, 1991)

Dopo esserci lasciati alle spalle il fiume Conorichite, al tramonto giungemmo all'isola di Dapa, che si eleva in mezzo al fiume, in un punto molto pittoresco. Notammo, con nostro grande stupore, alcuni terreni coltivati e, in cima a una collinetta, una capanna indiana. Quattro indigeni sedevano attorno al fuoco e mangiavano una sorta di pasta bianca picchiettata di nero, che attrasse la nostra curiosità. Erano dei vachacos. Grosse formiche la cui parte posteriore è simile ad una palletta di grasso; erano state seccate ed affumicate. Ne vedemmo molti sacchi appesi sopra al fuoco. Questa brava gente si curava ben poco di noi, e tuttavia in quell’angusta capanna c’erano almeno quattordici persone distese, tutte nude, nelle amache appese una sull’altra. […]

Due giovani donne discesero dalle loro amache per prepararci dei tortini di cassava. Domandammo loro, grazie al nostro interprete, se il suolo dell’isola fosse fertile: ci risposero che la manioca cresceva male, ma che quella era una buona terra da formiche e che quindi avevano di che nutrirsi. Quelle formiche, vachacos, garantiscono effettivamente la sussistenza agli indios del Rio Negro e del Guainia. Esse non vengono mangiate per ghiottoneria, ma perché il loro grasso (la parte bianca dell’addome) è un alimento molto nutriente. Quando i tortini di cassava furono pronti, padre Zea, al quale la febbre sembrava stimolare, piuttosto che affievolire, l’appetito, si fece portare una piccola borsa riempita di vachacos affumicati. Egli mescolò gli insetti, dopo averli schiacciati, con farina di manioca e ci invitò ad assaggiarne. Il gusto era quello di burro assai saporito, mescolato a mollica di pane.

 

(Voyage aux règions equinoxiales du nouveau continent. Relation historique. Tome second (1819), Alexander Von Humboldt, in "Amazzonia: mito e letteratura del mondo perduto", a cusa di Silvano Peloso, Editori Riuniti, Roma, 1988)

Nel linguaggio della scienza gli uomini si definiscono onnivori: mangiando infatti cibi sia di origine vegetale sia animale. Come gli altri membri della famiglia, tipo ratti, maiali e scarafaggi, possiamo soddisfare le nostre esigenze nutritive ingerendo una notevolissima varietà di sostanze. Possiamo mangiare e digerire di tutto, dalle secrezioni irrancidite delle ghiandole mammarie ai miceti alle rocce, ossia il formaggio, i funghi e il sale, se preferite gli eufemismi. Al pari degli onnivori, però, non mangiamo precisamente di tutto e, in pratica, in rapporto alla totalità delle sostanze potenzialmente commestibili presenti sulla faccia della terra, la dieta della maggior parte dei gruppi umani appare piuttosto ristretta. […]

Considerato che gli Indù non consumano carne di manzo, che gli Ebrei non mangiano quella di maiale, che gli Americani hanno una certa difficoltà a trattenere il vomito al solo pensiero di uno stufato di cane, si può nutrire il fondato sospetto che ci sia qualcosa al di là della pura e semplice fisiologia della digestione a influire sulla definizione di ciò che è buono da mangiare. Chi è nato e cresciuto negli Stati Uniti avrà la tendenza ad acquisire certe abitudini alimentari americane. Imparerà ad apprezzare la carne bovina e suina, ma molto meno quella di montone e di cavallo, e per niente quella di lombrichi e cavallette; inoltre è quasi da escludersi che diventi un golosone dello stufato di ratto.

Invece la carne equina esercita una certa attrattiva su Francesi e Belgi; molti popoli mediterranei apprezzano la carne di montone; lombrichi e cavallette sono ritenuti una raffinatezza da milioni di uomini, e un’indagine commissionata dall’U.S. Quartermaster Corps ha scoperto che ben quarantadue società mangiano ratti.

Se si chiede a un Europeo o a un Americano perché non mangiano insetti la riposta scontata sarà: “Gli insetti sono disgustosi e pieni di germi. Bleah”. […]

La ripulsa degli Europei e Americani a trasformare gli insetti in cibo non ha molto a che fare col fatto che potrebbero arrecare malattie né con la loro affettiva associazione con sporcizie e immondizia di vario tipo. Insomma: non è che non li mangiamo perché sono sporchi e disgustosi; bensì sono sporchi e disgustosi perché non li mangiamo.

 

(Buono da mangiare, Marvin Harris, Einaudi, 2006)

FONTI:

- A scuola di mondo : percorsi didattici per capire e vivere il mondo globale, Horst Wiedemann, EMI, Bologna, 1998

-  Prodotti del Sud..., AA.VV., pp. 51-53