La leggenda del guaranà (Brasile)

Gli indios Sateré-Maué abitavano anticamente tra i fiumi Madeira e Tapajòs, un’ampia zona forestale dello stato di Amazonas; ma qualcuno parla ancora di un mitico luogo d’origine, “là dove le pietre parlano” che sarebbe localizzato sulla riva sinistra dello stesso fiume Tapajòs, dove la foresta è più fitta e scusa di vegetazione.
Gli uomini vanno a caccia e pescano, colgono castagne, noci di cocco, formicoli, lucertole e altri alimenti. Le donne preparano farina di manioca, coltivano patate dolci e un’infinità di frutta tropicale. Ma gli indios si attribuiscono con orgoglio la scoperta del guaranà, una pianta silvestre della zona ricca di proprietà energetiche. Raccolgono i semi del guaranà prima che si apra l’involucro che li trattiene. Li lavano nell’acqua corrente, li fanno abbrustolire in forni di fango per poi macinarli nel mortaio. Impastano con acqua la farina con cui poi fanno dei bastoncini da grattugiare su una pietra ruvida. La farina viene poi sciolta in acqua, ed ecco la magica bevanda che –dà forza e vita e guarisce tutte le malattie-. Gli indios Sateré-Maué si dichiarano figli del guaranà e usano nei rituali ornamenti rossi e verdi, i colori della pianta.
Simbolo della loro cultura è il porantim, un remo magico su cui è incisa simbolicamente la storia mitica.

Dicono che, all’inizio del tempo, quando si formarono tutte le cose in cielo e sulla terra, vivevano già tre fratelli: due maschi con una sorella bellissima che chiamavano Uniaì.

Uniaì era padrona assoluta di Noçoquem, un luogo incantato, il più bello che si conoscesse sulla terra. Solo Uniaì conosceva tutte le piante di quel paradiso: le piante che davano cibo saporoso, quelle che guarivano dalle malattie, quelle che offrivano grani multicolori per le collane e le piante dalle quali pendevano, dure come il legno, palle rotonde di color marrone che potevano servire come scodelle per bere.

Uniaì sapeva tutto ciò di cui necessitavano i due fratelli e faceva loro scoprire ogni meraviglia a poco a poco. Un giorno piantò un castagno che s’innalzò tanto nel cielo da non potersi scorgere la cima.

Uniaì non aveva marito. A quel tempo gli animali vivevano come gli uomini e tutti avrebbero voluto sposarla, ma i due fratelli non volevano, preferivano che rimanesse sempre con loro provvedendo alle loro necessità. Tra gli animali fu un serpentello il primo a esprimere il suo desiderio. Tutti i giorni lasciava dietro di sé una scia di profumo che inteneriva subito il cuore. Uniaì passava di là e sospirava –Ma che profumo soave!-. Il serpentello, acquattato lì vicino, si scioglieva di tenerezza –Lei mi ama, non lo dissi?- e andava a stirarsi più in là, in mezzo al sentiero. Quando passò la ragazza il serpentello la fissò negli occhi e la chiese come sposa. Con quel semplice incanto, l'animale la prese in sposa e concepì con lei un figlio. Ma ai fratelli non andò giù –Adesso lei avrà cura solo del bambino e non si curerà più di noi- e decisero di non vedere più né la sorella né suo figlio. Allora Uniaì se ne andò.

Nel frattempo il castagno allargava le sue fronde come un piccolo cielo verde cupo. Dai rami pendevano già graziosi involucri con dentro una sorpresa: le castagne.

Uniaì aveva costruito la sua capanna molto lontano, ai bordi di un ruscello. Il bimbo cresceva bello e robusto e la madre ogni giorno lo portava a fare il bagno nell’ora più luminosa, quando arrivavano vento, luce e farfalle a giocare con l’acqua.

La mamma gli raccontava le storie di Noçoquém, gli raccontava delle piante, dei fiori, degli uccelli, dei frutti e degli zii e del castagno che aveva piantato. Appena il bimbo cominciò a parlare disse a Uniaì –Anch’io voglio mangiare le castagne e gli altri frutti che piacciono agli zii-.

-Non è facile, figlio mio. I tuoi zii sono padroni di quella terra e io non ci posso più tornare-.

Ma il bambino continuava a insistere.

-Ma è pericoloso. I tuoi zii hanno messo a guardia un cotia (il roditore Dasyprocta aguti), un cocorito e un pappagallo arara.

-Lo voglio lo stesso- ripeteva il bambino. Si misero in cammino.

Un giorno il cotia, passando per Noçoquém, vide sotto il castagno, per terra, le ceneri del fuoco dove erano state abbrustolite le castagne. Corse subito dai fratelli per raccontare ciò che aveva visto. E dopo poco giunse anche il cocorito a riferire che era successo qualcosa di strano. Allora i due fratelli decisero di mandare la scimmietta Bocca di Viola a custodire il castagno.

Il giorno dopo il bambino aveva una gran voglia di mangiare castagne e decise di andare da solo visto che conosceva la strada.

La scimmietta lo scoprì subito arrampicato sull’albero e cominciò a scoccare frecce in direzione dell’albero finchè non riuscì a colpirlo e il bimbo cadde a terra, trafitto.

Quando Uniaì si accorse della mancanza del figlio si mise a correre più forte che potè e quando arrivò scoprì ciò che era successo. Pianse tanto fino all’ultima lacrima e poi gridò –i tuoi zii ti volevano così, senza vita. Ma così non sarai!- e poi mormorò una cantilena, come un incantesimo.
 
Grande sarai e guarirai gli uomini.
Tutti correranno da te per scacciare i malanni,
avere forza in guerra,
avere un amore più grande
e così anche tu, grande sarai!
 
Subito dall’occhio sinistro del bambino spuntò una pianta, ma non era robusta: si trattava del falso guaranà che oggi gli indios chiamano uranà-hop. Poi dall’occhio destro spuntò il vero guaranà.
E’ per questo che il frutto di questa pianta assomiglia agli occhi dei bambini.
Dopo giorni e giorni Uniaì tornò a controllare la pianta e la trovò grande e piena di frutti maturi. E sotto la piante, con grande sorpresa vide suo figlio vivo, forte e allegro.
Questo bambino, nato come una pianta dal cuore della terra, fu il primo indio Maué. Lui è forza e vitalità. Lui è l’origine della tribù.