La patata e la manioca

Le patate
Le patate

Un po' di storia...

 

Pare che la patata (Solanum tuberosum) sia stata coltivata per la prima volta dagli Indiani delle Ande e sappiamo come, dopo la scoperta dell'America da parte degli europei, quel tubero si sia diffuso con enorme successo anche in Europa.

Anche l'altro tubero attualmente molto consumato, la manioca (Manihot esculenta), ha origine nel continente sudamericano, in particolare nel centro America e nel nord-est del Brasile. Furono i coloni portoghesi che facevano la spola tra Europa, Africa e America del Sud a introdurre nel continente africano la coltivazione della manioca, che avevano visto molto produttiva in Brasile. A metà del 1800, infine, si diffuse anche in Asia.

La raccolta della manioca
La raccolta della manioca

Credenze e feste

 

A maggio, la stagione del raccolto, nella regione andina di Cuzco (Perù) il cielo è sempre sereno. Gli indios arrivano molto prima dell'alba e cominciano subito il raccolto, e sono felice come se andassero a una festa. I braccianti vengono chiamati "gli ospiti del contadino", il primo che si presenta diventa il coollana, cioè il capo, e prende la direzione dei lavori.

Quando ci sono tutti, i contadini si riuniscono ai bordi del campo e il coollana alza le braccia al cielo: rende grazie alla terra per aver fecondato il seme, per aver bagnato il seme con le sue piogge. Poi si rivolge alle grandi montagne, sentinelle di tutte le terre, infine dà il segnale d’inizio del raccolto. La morbida luce dell’alba rischiara il profilo delle montagne, i campi ricevono la carezza del vento, il coollana attacca una canzone e tutti gli altri lo accompagnano, poi tutti lavorano continuando a cantare.

Dover trarre il proprio cibo dai tuberi nascosti nella terra ha fatto sentire i popoli piantatori molto legati alla terra, che diventa il corpo di un dema, un eroe ucciso e sepolto, da cui avranno origini i tuberi. L’ansietà del coltivatore non è rivolta tanto al cielo che deve rendere abbondanti i raccolti, come per i seminatori, quanto alla terra, che può negare o ridurre quel prodotto che gelosamente custodisce, fino al raccolto, dentro al suo grembo. Si crea così anche un legame particolare con i morti che dimorano nella terra e che da essa, periodicamente, fuoriescono.

Il chuño
Il chuño

Modi di cucinare e consumare i tuberi

 

Già gli antichi coltivatori delle Ande riuscirono a scoprire il modo di conservare a lungo le patate, con tutto il loro valore nutritivo.

Per esempio i Quechua ancora oggi ottengono dalle patata il chuño, un cibo disidratato di colore nero, leggerissimo, attraverso un processo di disidratazione che avviene con le gelate notturne, poi con il torrido caldo diurno e, infine, con una strizzata finale per eliminare ogni liquido residuo. Ha una durata di conservazione pressoché illimitata.

La farina di manioca
La farina di manioca

Oppure, in modo molto simile, altri indios ottengono la muraja facendo fermentare il tubero in un ruscello, congelandolo di notte e facendolo disidratare al sole del giorno.

La manioca si può mangiare dopo averla semplicemente sbucciata e lavata, e così ha il gusto di una castagna cruda.

Ma in genere, dopo averla sbucciata, la si fa bollire e poi la si schiaccia ottenendo una specie di purea di patate, ma meno fine. I piatti di manioca si possono variare notevolmente.

Bollita o cotta al forno, con aggiunta di carne, pesce o altri cibi, la manioca è l’alimento base di certi Paesi del Sudamerica (dove questi piatti si chiamano, secondo i luoghi sancochado, escabeche, sebiche, pachananca) e in estremo Oriente (ketela, krubub). Oppure si può far seccare al sole e conservare: è il metodo usato in Indonesia (dove il prodotti di chiama gapiek) e nel Madagascar.

Dolce a basa di manioca
Dolce a basa di manioca

In America Latina viene sottoposta ad un trattamento più complicato per ricavarne la farina di manioca (il cuac). I tuberi vengono pelati e poi grattugiati. La manioca grattugiata viene avvolta in foglie e compressa sotto una pesante pietra mediante una leva. Lo strumento più diffuso è una specie di cesto cilindrico in fibra vegetale chiamato tipiti, che viene riempito di polpa fresca e poi sospeso a un ramo e stirato fino a farlo allungare: in questo modo viene spremuto il succo tossico.

La polpa viene poi lavorata per ottenere la farina: la farinha mandioca o farinha de mesa, che poi viene scaldata all’aperto in una padella, ottenendo un prodotto granulato che si conserva a lungo. Scaldando questa polpa più a lungo di ottiene invece il pane di manioca, assai duro ma dal sapore eccellente.

Sempre in Sudamerica, secondo un’antica tradizione, il succo, ricco di preziose materie nutritive, viene concentrato per evaporazione ottenendo un salsa chiamata cassaripo nelle Antille e tucupay in Brasile.

In Africa Occidentale e, soprattutto, in Nigeria le popolazioni di nutrono con il gari, che si fabbrica facendo fermentare dei tuberi di manioca grattugiati fino a produrre una specie di farina. La polpa delle radici si mette in un sacco di tela e poi si lascia sgocciolare e fermentare al sole. Una volta seccata, si cuoce a fuoco lento

FONTI:

- Paese che vai, piatti che trovi. Il lungo viaggio del cibo dall'America Latina all'Europa", supplemento a Volontari per lo Sviluppo, anno IX, n°4, settembre 1991